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Questo rapido ma appassionato ritratto di Angela Zucconi (pubblicato in chiusura di La parola comunità, Edizioni dell’Asino, 2015) consente a Maria Lorenzoni Stefani non solo di ricostruire la vicenda umana e intellettuale di una figura fondamentale per la storia del lavoro sociale in Italia, ma anche di rilevare, in controluce, alcuni dei tratti essenziali del “lavoro di comunità”, approccio che avrebbe ancora moltissimo da insegnare non solo agli assistenti sociali dei giorni nostri, ma anche a educatori, operatori dell’accoglienza e a chiunque lavori con persone fragili, in territori problematici o in contesti di marginalità.

Per molte generazioni di assistenti sociali, Angela Zucconi ha costituito un punto di riferimento tra i più autorevoli, per quanti hanno avuto il privilegio di assistere alle sue lezioni di lavoro di comunità, frequentare il Cepas quando ne era la direttrice, lavorare nei progetti pilota, ma anche per quanti l’hanno conosciuta solo attraverso i suoi scritti. Angela fa parte della prima generazione di assistenti sociali italiani, di coloro che, utilizzando anche esperienze internazionali, in particolare anglosassoni e francesi, hanno disegnato una nuova figura di operatore fortemente innovativa per la cultura italiana. Un operatore che aveva il compito di promuovere il benessere attraverso un ordinamento democratico.

Goffredo Fofi ricorda spesso come il servizio sociale non sia stato l’unico interesse della Zucconi e che nella sua lunga vita ne abbia coltivati anche altri, come emerge dalla bella autobiografia che Angela ha scritto poco prima di morire (Cinquant’anni nell’utopia e il resto nell’aldilà. L’ultima edizione, del 2015 è di Castelvecchi) ma in questa sede l’attenzione è sul suo impegno nel servizio sociale e nel lavoro di comunità degli assistenti sociali, nei centri sociali e nei progetti di sviluppo comunitario.

Apparentemente il rapporto con il servizio sociale è stato frutto più del caso che di una scelta razionale, come pure casuali sono stati alcuni incontri determinati per la sua la vita. Il primo contatto con Adriano Olivetti, personalità che avrà un ruolo significativo nella successiva evoluzione professionale della Zucconi, è avvenuto con la richiesta della traduzione delle opere di Kierkegaard per le Edizioni di Comunità. Angela conosceva varie lingue e traduceva dal tedesco e dal danese, aveva interessi letterari che le avevano procurato una borsa di studio per un soggiorno in Danimarca.

Ugualmente abbastanza casuale è stato l’incontro con Guido e Maria Calogero, fondatori del Cepas (Centro di educazione professionale per assistenti sociali), ai quali la Zucconi è stata presentata da una delegata dell’Aiuto Svizzero, che per esigenze economiche Angela aveva accolto in casa come ospite pagante. Era in cerca di un lavoro e i Calogero, conoscendo il suo impegno al Movimento di collaborazione civica (Mcc), le offrirono di collaborare coordinando un gruppo di docenti al Cepas di cui, com’è noto, fu poi a lungo prestigiosa direttrice.

A proposito del servizio sociale, nelle sue memorie, la Zucconi ricorda il “Convegno per studi di assistenza sociale” di Tremezzo, sottolineando il clima di collaborazione presente anche tra persone con ideologie e vissuti diversi. Dagli atti del convegno non c’è traccia di una sua partecipazione, ma certamente ha conosciuto e fatte proprie le elaborazioni prodotte in quella sede e ne ha condiviso lo spirito generale.

Apparentemente il rapporto con il servizio sociale è stato frutto più del caso che di una scelta razionale, come pure casuali sono stati alcuni incontri determinati per la sua la vita. Il primo contatto con Adriano Olivetti, personalità che avrà un ruolo significativo nella successiva evoluzione professionale della Zucconi, è avvenuto con la richiesta della traduzione delle opere di Kierkegaard per le Edizioni di Comunità. Angela conosceva varie lingue e traduceva dal tedesco e dal danese, aveva interessi letterari che le avevano procurato una borsa di studio per un soggiorno in Danimarca.

Ugualmente abbastanza casuale è stato l’incontro con Guido e Maria Calogero, fondatori del Cepas (Centro di educazione professionale per assistenti sociali), ai quali la Zucconi è stata presentata da una delegata dell’Aiuto Svizzero, che per esigenze economiche Angela aveva accolto in casa come ospite pagante. Era in cerca di un lavoro e i Calogero, conoscendo il suo impegno al Movimento di collaborazione civica (Mcc), le offrirono di collaborare coordinando un gruppo di docenti al Cepas di cui, com’è noto, fu poi a lungo prestigiosa direttrice.

Guido Calogero e Maria Comandini, fondatori del Cepas

A proposito del servizio sociale, nelle sue memorie, la Zucconi ricorda il “Convegno per studi di assistenza sociale” di Tremezzo, sottolineando il clima di collaborazione presente anche tra persone con ideologie e vissuti diversi. Dagli atti del convegno non c’è traccia di una sua partecipazione, ma certamente ha conosciuto e fatte proprie le elaborazioni prodotte in quella sede e ne ha condiviso lo spirito generale.

Il convegno, evento fondativo del servizio sociale italiano, si è svolto nel 1946 a Tremezzo, sul lago di Como, con la partecipazione oltre che di responsabili italiani del settore, di esperti inglesi, statunitensi e canadesi. Nelle tre settimane, tanto è durato il convegno, sono state elaborate proposte di una nuova organizzazione della sanità, della previdenza e dell’assistenza sociale. Tutte le “raccomandazioni” prodotte nel convegno, prevedevano uno Stato fortemente decentrato e il superamento delle strutture burocratiche verticistiche ereditate del regime fascista. Mentre la sanità e la previdenza si sono modificate nel tempo e le raccomandazioni di Tremezzo hanno solo valore storico, risultando datate, quelle relative all’assistenza sociale e al personale che avrebbe dovuto gestirla sono ancora assolutamente attuali. Giuseppe De Rita, a proposito della prima generazione degli assistenti sociali, dice che avevano una dimensione profetica.

Atti del “mitico” convegno di Tremezzo, sul lago di Como, nel 1946

Nella sua autobiografia la Zucconi afferma, con rammarico, che non sono state raccolte le indicazioni elaborate a Tremezzo che prefiguravano una trasformazione dell’assistenza paternalistica tradizionale nell’affermazione di una nuova giustizia sociale e nella promozione delle potenzialità di ciascuno. Un Paese nuovo libero dalla burocrazia ministeriale, dal verticismo degli assistenziali nazionali. Angela quindi arriva al Cepas con un bagaglio culturale storico e letterario di tutto rispetto, ma non specifico di servizio sociale. Aveva una generosità naturale e una disponibilità all’aiuto al debole, e l’esperienza di volontariato al Movimento di collaborazione civica. Infatti il clima di solidarietà diffusa e l’impegno alla ricostruzione democratica e morale del paese avevano indotto Angela, anche nella fase nella quale i suoi interessi erano esclusivamente letterari, a collaborare intensamente con Giuliana Benzoni nel Mcc. Movimento che, coinvolgendo persone di diversa provenienza ideologica e culturale, ha svolto un importante lavoro di promozione della democrazia sollecitando la partecipazione. Si trattava di un volontariato profondamente motivato e che si organizzava in funzione degli obiettivi che si prefiggeva.

Angela si impegnò particolarmente nell’organizzazione di colonie estive per i bambini che vivevano in condizioni antigieniche nelle baracche nelle quali il fascismo aveva trasferito gli abitanti delle zone degli sventramenti per la costruzione di via della Conciliazione e di via dei Fori imperiali a Roma. In particolare si è impegnata a reclutare studenti liceali che collaborassero nell’assistenza ai bambini e nella gestione delle colonie riscuotendo un’ampia disponibilità. Il Mcc collaborava anche con l’Unione per la lotta contro l’analfabetismo, con il Cemea, con il Mce e con altre entità di promozione sociale.

Baracche di una borgata romana

In quegli anni c’era molta disponibilità all’aiuto reciproco, attenzione a evitare sovrapposizioni, impegno per realizzazioni concrete. L’attività del Mcc nell’organizzare colonie estive per i bambini poveri si intensificò con la partecipazione al programma di soggiorni in Danimarca organizzato nell’ambito dell’affiliazione danese dell’Associazione internazionale per la protezione dell’infanzia con sede a Ginevra. I bambini italiani, pallidi e denutriti alla partenza, tornavano dopo i tre mesi di ospitalità in famiglie danesi ritemprati e felici. L’organizzazione di questi soggiorni ha impegnato molto Angela, anche per superare le varie difficoltà che si opponevano al progetto per la diffidenza di varie burocrazie.

In occasione del soggiorno dei bambini e nei mesi successivi, ha tentato di riprendere i suoi studi danesi, con la speranza di poter lavorare nell’università di Copenaghen come lettrice di italiano. Al ritorno a Roma l’anno dopo, nel 1948, trovò una situazione modificata in peggio, gli spazi di iniziativa del Mcc erano ridotti ed era tramontata anche la possibilità di tornare in Danimarca a proseguire gli studi all’università.

Intanto, al Cepas, l’autorevolezza di Guido e Maria Calogero aveva consentito di raccogliere attorno a loro, per la formazione professionale degli assistenti sociali, un gruppo di professionisti di altissimo livello. La scuola, era pensata come un laboratorio nel quale diverse discipline – psicologia, antropologia culturale, medicina sociale, psicologia e psichiatria, ma anche diritto, architettura, urbanistica – convergessero per dare conoscenze e strumenti operativi a una figura polivalente capace di usare l’assistenza per “aiutare le persone ad aiutarsi da sé”.

Nonostante Angela Zucconi dichiari nella sua autobiografia di essersi sentita sempre precaria al Cepas, la sua capacità e il suo impegno convinsero i Calogero a proporle la reggenza della scuola quando partirono per il Canada, dopo l’insuccesso del Partito d’azione nel quale si erano tanto spesi e avevano sperato per il rinnovo della politica italiana.

In questo nuovo ruolo la Zucconi incontra per la seconda volta Adriano Olivetti a cui Guido Calogero aveva chiesto aiuto per i problemi economici della scuola. Tra Angela Zucconi e Adriano Olivetti, da quel momento, si stabilirà una intensa collaborazione, una profonda intesa culturale, un’assonanza di intenti nei progetti di sviluppo del Meridione d’Italia, che continuerà fino alla prematura scomparsa dell’industriale.

Da sinista, Bobi Bazlen, Angela Zucconi, Adriano Olivetti

C’è una profonda coincidenza tra la società comunitaria prefigurata da Adriano Olivetti e gli obiettivi che la formazione del Cepas persegue per gli studenti che lo frequentano. Comunità a misura d’uomo, nelle quali la promozione della cultura abbia una centralità riconosciuta e condivisa, i servizi sociali siano partecipati e accessibili a tutti. Si auspica uno Stato con una struttura che parta dal basso, dalle esigenze reali della vita quotidiana delle persone che vivono nello stesso territorio, ambito di scambi, di risorse e di esigenze condivise. Il movimento politico con il quale Olivetti sperava di dare una nuova struttura allo Stato, a cui anche Angela partecipò, si chiamava, infatti, Comunità.

Nel mondo del servizio sociale il nome di Angela Zucconi è legato anche alle esperienze dei progetti pilota di sviluppo di comunità nei quali si voleva sperimentare l’efficacia del servizio sociale come strumento di modifica e di miglioramento della situazione di vita di persone che vivevano in un territorio determinato, attraverso la loro partecipazione sollecitata dagli operatori.

La prima esperienza di progetto di sviluppo di comunità con la partecipazione di assistenti sociali è la collaborazione del Cepas alla costruzione del villaggio di La Martella a Matera, e il successivo è nei comuni abruzzesi. Sono progetti nati dalla collaborazione tra Olivetti, l’Unrra Casas (dove Unrra sta per “United Nations Relief and Rehabilitation Administration”, l’organizzazione istituita nel 1943 per assistere economicamente e civilmente i Paesi usciti gravemente danneggiati dalla Seconda guerra, e Casas per “Comitato Amministrativo Soccorso Ai Senzatetto”, una delle sue emanazioni italiane), l’Unesco e il Cepas. Sono progetti nei quali la ricostruzione/costruzione edilizia viene affiancata da un’opera di promozione socio culturale per la sperimentazione di comunità che si autoregolano, che prendono coscienza delle proprie esigenze, individuano le soluzioni praticabili e si fanno carico di perseguirle, a seguito di un’azione promozionale di operatori residenti.

L’interno di un “sasso” di Matera, negli anni ’40

Il progetto a Matera di costruzione del nuovo villaggio La Martella, distante cinque chilometri dal centro abitato, fatto per trasferire in ambienti più salubri gli abitanti dei “sassi”, si scontra con la scarsa preparazione degli abitanti a una vita diversa dalla precedente che durava da secoli. Inoltre la costruzione del nuovo villaggio coincide con la riforma agraria che, in maniera simile, doveva modificare abitudini secolari consolidate. Nel progetto originale attorno a Matera sarebbero dovuti sorgere altri villaggi, ma La Martella rimase l’unico e solo dopo molti anni le generazioni successive ne apprezzeranno la caratteristiche. Forse l’attuale attrattiva turistica di Matera si deve anche a quel seme gettato che allora sembrò non poter attecchire.

Villaggio rurale La Martella, 1952

Un altro contributo importante per la sua formazione al lavoro di comunità nei progetti pilota e nei centri sociali è venuto alla Zucconi dal viaggio di studio finanziato dall’Unesco per visitare le Missioni culturali in Messico, il Progetto di sviluppo culturale della Giamaica e un Programma di sviluppo comunitario a Portorico. Da tale esperienza la Zucconi ricavò utili indicazioni metodologiche che utilizzerà per il suo lavoro, in particolare per l’impostazione del progetto pilota denominato E, poiché sulla carta geografica la zona del progetto coincideva con la lettera E che univa Abruzzo e Molise, che allora costituivano un’unica Regione.

Il progetto pilota Abruzzo dura quattro anni (1958-1962) e coinvolge studenti e diplomati del Cepas, accademici, esperti con competenze urbanistiche e agrarie. Florita Botts dell’Unesco, è la responsabile in loco del progetto; Angela ha conosciuto Florita nel suo viaggio di studio americano, e ne è nato un sodalizio che da allora durerà per tutta la vita.

Il progetto E è frutto della collaborazione tra il Cepas, l’Unrra-Casas, il Comitato per il soccorso ai senzatetto dell’Unrra e l’Unesco. Il progetto è attentamente programmato per essere un prototipo da replicare. La zona è stata scelta come rappresentativa di altre zone meridionali e non, con popolazione in condizione di miseria secolare, ma operosa e disponibile alla collaborazione. Si tratta di dodici comuni montani, con una popolazione non superiore ai quattromila abitanti, con un’economia di sussistenza. Sono paesi dai quali tradizionalmente le forze più valide emigrano. Vuole essere “un insieme di interventi non eccezionali per una situazione non eccezionale”, come lo definisce la Zucconi, proprio con l’obiettivo di renderlo facilmente replicabile. Il progetto esclude prestazioni assistenziali aggiuntive, ma crea collegamenti per rendere accessibili provvidenze di enti che non insistono in quel territorio, ma di cui quelle popolazioni hanno diritto. Si tratta degli enti nazionali: Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), Enaoli (Ente Nazionale per Assistenza agli Orfani dei Lavoratori Italiani), Enpmf (Ente Nazionale per la Protezione Morale del Fanciullo), eccetera.

A differenza del villaggio di La Martella, costruito ex novo, il territorio nel quale insiste il progetto Abruzzo è già noto agli operatori dell’Unrra casas, che avevano ricostruito le abitazioni distrutte dalla guerra e quelli che operavano nella zona per attivare centri sociali. Il progetto è concepito per avere una funzione prettamente educativa, vengono utilizzate le esperienze di lavoro di comunità che il Cepas aveva elaborato con i tirocini nelle periferie romane e altrove.

Alice Bellotti nel suo La comunità democratica. Partecipazione, educazione e potere nel lavoro di comunità di Saul Alinsky e Angela Zucconi (Fondazione Adriano Olivetti, 2011) scrive: “Il progetto Abruzzo coinvolge dodici comuni montani in provincia di Chieti e dell’Aquila, di cui alcuni ancora semidistrutti dal passaggio del fronte. I paesi del comprensorio sono stretti nella morsa di una povertà endemica, drenati dall’emigrazione, basati su un’economia di pura sussistenza in una delle zone più depresse del Mezzogiorno, piagati da una classe dirigente gelosa dei propri privilegi di casta, quella “piccola borghesia” di cui parlava Carlo Levi, priva di proprietà terriera e per questo aggrappata a una gestione clientelare della pubblica amministrazione come strumento di dominio e potere”.

Angela Zucconi e i suoi collaboratori, nell’elaborare il progetto da presentare all’Unesco, studiano a fondo le caratteristiche della popolazione e utilizzano l’esperienza di educazione degli adulti dell’Unione nazionale lotta all’analfabetismo e la metodologia del progetto comunitario di Portorico adeguatamente adattati a una realtà parzialmente diversa.

Nel progetto E gli assistenti sociali hanno il ruolo di animatori comunitari e sono assegnati ciascuno a uno o più villaggi, con il compito di organizzare gruppi di discussione per adulti, uomini e donne, spazi di democrazia, condivisione e dibattito. Come in altri ambiti il primo approccio avviene attraverso le schede di lettura, la visione di documentari o di film e la successiva discussione.

Angela Zucconi insieme a Natalia Ginzburg

Ampiamente sottolineata in tutti gli interventi di comunità dell’assistente sociale è la necessità di un accurato studio dell’ambiente dove l’attività si colloca. Per lavorare utilmente l’assistente sociale deve conoscere la popolazione a favore della quale deve intervenire. Tale conoscenza verrà continuamente implementata dall’attività pratica, attraverso la quale l’operatore conoscerà meglio la comunità, e ogni indagine dovrà sempre dar luogo a un progetto di intervento. L’impegno all’agire nelle situazioni, a finalizzare sempre le ricerche, le inchieste, le rilevazioni a progetti operativi da mettere in atto, è uno dei concetti fondamentali dell’insegnamento della Zucconi agli assistenti sociali a cominciare dagli studenti di servizio sociale.

Le scuole di servizio sociale, pur essendo organismi privati, senza una legge che ne definisca la struttura e li collochi all’interno dell’ordinamento italiano dell’istruzione, costituiscono una risorsa che viene riconosciuto dalle istituzioni del settore. Infatti è alle scuole per assistenti sociali che viene richiesta, nel 1952, la collaborazione degli studenti per la somministrazione dei questionari per l’inchiesta parlamentare sulla miseria e sui mezzi per combatterla.

È di nuovo alle scuole che viene dato l’incarico di produrre documenti per rispondere a richieste di organismi internazionali. In particolare l’incarico della rilevazione dei centri sociali che l’Onu ha chiesto all’Italia è stato dato al Cepas. La relazione fatta dalla Zucconi è riportata in Centri sociali e problemi del lavoro di gruppo (“Comunità”, anno VI, n. 16, dicembre 1952), ed è stata l’occasione per Angela di precisare la sua idea di centro sociale e del ruolo che gli assistenti sociali devono avere in quella sede, con considerazioni che valgono per la nostra professione in generale.

L’assistente sociale deve sollecitare la partecipazione, il coinvolgimento anche di coloro che normalmente, per come è organizzata la società, non hanno voce, e lasciare il campo il più presto possibile, appena è stata raggiunta un’autonomia sufficiente. Mi è capitato, in varie sedi, di sottolineare il paradosso dell’assistente sociale, perché quanto più è competente ed efficiente nel suo lavoro, tanto meno è visibile. Nell’attuale società dell’immagine, questa irrinunciabile specificità del nostro lavoro è una della cause della nostra marginalità tra le professioni di aiuto, che può essere superata solo attraverso una grande autorevolezza personale da conquistare volta a volta sul campo.

I centri sociali si diffondono nell’Italia del dopoguerra, probabilmente su modelli presenti in altri paesi, per rispondere alla diffusa l’esigenza di nuove modalità di aggregazione sul territorio, occasione di confronto, di partecipazione alla gestione dei servizi. Molti enti organizzano spazi di aggregazione, di incontro: l’Unla chiama centri sociali le sue sedi per l’alfabetizzazione degli adulti, centri sociali sono aperti dal Cif per le donne e per i doposcuola degli scolari in periferia, e altri.

In particolare, i nuovi quartieri costruiti dall’Unrra casas o dall’Ina-casa (il piano di intervento pubblico per realizzare edilizia residenziale su tutto il territorio, attivo dal 1949) prevedono al loro interno strutture per centri sociali, che sono sedi di lavoro degli assistenti sociali che hanno il compito di facilitare la convivenza di una popolazione quasi sempre molto composita, immigrati dalla campagna verso impieghi più redditizi nelle nuove industrie, persone la cui casa è stata distrutta dalla guerra, famiglie di nuova costituzione, eccetera. Anche il Cepas ha coinvolto i propri docenti e studenti nella gestione di centri sociali caratterizzando l’ impegno alla promozione della recuperata democrazia.

A differenza di molte delle scuole per assistenti sociali, il Cepas non ha fatto parte, né ha promosso, raggruppamenti di scuole, salvo una breve partecipazione all’Unione nazionale scuole per assistenti sociali (Unsas), che aggregava le poche scuole laiche. Ha mantenuto un atteggiamento di isolamento culturale un po’ aristocratico, pur partecipando, e spesso portando contributi, ai convegni sia nazionali che internazionali organizzati dalla professione.

Nei confronti, invece, dei centri sociali Angela Zucconi si è fatta promotrice della Federazione italiana dei centri sociali (Fics), come emanazione della preesistente Federazione internazionale (Ifsnc). Riteneva, infatti che il centro sociale costituisse la sede di lavoro ideale per l’assistente sociale quale lo concepiva il Cepas, la sede nella quale più facilmente l’operatore poteva fare un intervento di modifica della situazione di disagio, capirne e superarne le cause, e migliorare la vita della comunità di appartenenza.

A differenza delle scuole di impostazione cattolica che affidavano all’assistente sociale prevalentemente il compito di lavorare con gli emarginati, con i poveri per adattarli all’ambiente, la Zucconi riteneva che l’assistente sociale dovesse lavorare nella comunità per cambiarla, dovesse lavorare per la popolazione nel suo insieme. Affermava infatti che: “questa società non è la migliore tra le società possibili. È una società individualizzata sotto assedio: per controllare gli individui si sono rotti tutti i legami che li tenevano uniti, rendendoli sempre più soli e sempre più insicuri”. Olivetti diceva che la comunità esiste nella realtà, l’uomo nasce libero, ma non nel deserto. Nasce come membro di un gruppo, legato a un determinato territorio, immerso in una determinata matrice storico-culturale.

A conferma della centralità dell’impegno dell’assistente sociale per la popolazione di un territorio, la rivista che, con l’aiuto di Olivetti, il Cepas ha pubblicato, dal 1954 fino alla chiusura della scuola, aveva per titolo “Centro sociale”. Direttrice della rivista era Annamaria Levi, sorella dello sfortunato Primo.

La copertina del numero di maggio/giugno del 1955 di “Centro sociale”

La Federazione internazionale dei centri sociali, nel 1953, aveva sollecitato il Comitato italiano di servizio sociale (Ciss) a farsi promotore di un analogo organismo nazionale. A tal fine, nel novembre 1953, Angela Zucconi, Annamaria Levi, Vanna Casara, responsabile della formazione degli adulti al Ministero della Pubblica istruzione e Rosetta Stasi presidente dell’associazione degli assistenti sociali costituiscono un gruppo di studio per elaborare lo statuto e il programma della Federazione italiana dei centri sociali di cui la Zucconi sarà la prima presidente fino al 1962, per passare successivamente la mano a Franco Ferrarotti.

Per chiarire meglio il senso dell’iniziativa, si riportano di seguito stralci dello statuto:

“I centri sociali offrono alla popolazione di un dato ambiente geografico, sia esso un quartiere urbano o una zona rurale, la possibilità di collaborare alla soluzione di problemi comuni e di realizzare comuni interessi di vita sociale”.

“Tali obbiettivi vengono raggiunti mediante la partecipazione democratica alla definizione, allo svolgimento di programmi, nonché attraverso l’offerta di servizi sociali, ricreativi, culturali secondo le diverse esigenze della popolazione”.

“Le attività svolte nell’ambito di ogni Centro sono integrate e collegate fra loro, e si avvalgono delle prestazioni di tecnici e professionisti che, pur avendo competenze diverse, lavorano in gruppo per la realizzazione dei fini comuni di miglioramento sociale della zona”.

“I centri sociali sono aperti a tutti: ai giovani come agli anziani, alle madri di famiglia come ai rappresentanti di associazioni o gruppi, senza preclusioni di alcun genere”.

“I centri servono, inoltre, a segnalare l’esistenza di particolari problemi inerenti la vita sociale di una data zona, e la necessità di creare nuovi servizi (parascolastici, assistenziali, sanitari, sportivi), o di migliorare quelli esistenti”.

“La partecipazione a un Centro sociale non costituisce un impegno a favore o a sfavore di un determinato partito politico. Si tratta di un esperimento di democrazia dal basso che prescinda da qualsiasi colorazione ideologica, si tratta di colmare una delle lacune più gravi della società moderna, di ritrovare quell’anello di congiunzione fra istituzioni e individui che in altri tempi ha garantito il fiorire della cultura e del vivere civile”.

A completamento della descrizione delle caratteristiche dei Centri, relativamente al lavoro dell’assistente sociale si riportano di seguito le conclusioni di un articolo della Zucconi, pubblicato dal notiziario degli assistenti sociali.

“In conclusione l’intervento nei centri sociali e nei programmi di sviluppo deve dimostrare:

– Quanto rende il coordinamento e il potenziamento degli istituti esistenti;

–Che le leggi esistenti contemplano provvidenze che a volte non vengono neppure richieste, a volte risultano male utilizzate;

– Che quanto meno si opera dall’esterno, tanto più effettiva e duratura è l’azione che ne risulta;

– Che la conoscenza esatta della realtà da parte della popolazione interessata è un passo importante per uscire da uno stato di depressione e che, in ultima analisi, i problemi delle aree depresse possono essere risolti solo dagli interessati, specialmente in una situazione come quella della popolazione di cui trattasi, popolazione che è afflitta ma non è schiacciata da quei problemi;

– Infine che un’azione così condotta ha un naturale potere diffusivo, la cui portata sarà oggetto di studio assiduo.”

Una caratteristica delle scuole di servizio sociale è stata la formazione teorico pratica che proponevano agli allievi. In una fase nella quale il servizio sociale era poco diffuso, per i tirocini degli studenti e per l’affermazione della professione erano le scuole stesse che promuovevano alle istituzioni servizi innovativi, ovvero inserivano studenti negli enti nazionali di assistenza che avevano procedure di funzionamento rigide e verticistiche per innovare dall’interno. I tirocinanti o i nuovi assunti venivano sostenuti dai docenti, in quanto le scuole mantenevano un forte collegamento con le attività degli assistenti sociali sul campo.

L’insegnamento del servizio sociale di comunità si è diffuso lentamente nelle scuole di servizio sociale e solo nel 1964 l’Amministrazione per le attività italiane e internazionali (Aai), nell’ambito del programma di assistenza tecnica alle scuole di servizio sociale, ha promosso un convegno di studio sul problema, cui hanno partecipato i docenti della materia delle scuole di tutto il territorio nazionale, i direttori di dette scuole, dirigenti di enti assistenziali, esperti di altre discipline in particolare sociologi.

Particolarmente significativo, in tale ambito, è stato il contributo di Angela Zucconi che aveva il compito di presentare il metodo del lavoro di comunità. L’autrice, in quella sede, ha ritenuto necessario per sottolineare l’importanza del lavoro di comunità, ricordare le speranze e i fermenti che già nel 1943 erano presenti nel paese e che ipotizzavano una radicale modifica dell’organizzazione istituzionale dello Stato, con un ampio decentramento delle responsabilità agli enti locali e uno snellimento dell’apparato burocratico.

Cosa che non è avvenuta e di cui dichiara, venti anni dopo, si sentono le conseguenze negative. Possiamo amaramente dire che lo snellimento della burocrazia degli apparati pubblici non è avvenuta neppure negli anni successivi, e che continuiamo a pagarne le conseguenze negative. Neppure la tardiva istituzione delle Regioni a statuto ordinario e il decentramento delle competenze assistenziali alle Regioni hanno dato i frutti sperati.

Nel contributo al convegno dell’Aai del 1964 la Zucconi, non nomina i progetti pilota che aveva gestito, ma a quelle esperienze si riferisce nell’esemplificare l’attività dell’assistente sociale nel lavoro di comunità. L’intervento, inoltre, contiene un forte richiamo al libro che Adriano Olivetti aveva fatto stampare negli ultimi anni dell’esilio a Samaden e che aveva portato in Italia al suo rientro: L’ordine politico della comunità. Visione molto anticipatrice e rimasta inattuata e che prevedeva uno Stato articolato in comunità che si autoregolavano, fortemente partecipate.

Nel saggio per i docenti del lavoro di comunità citato sopra, e in tutti gli scritti di servizio sociale della Zucconi, l’accento è sempre messo sugli obiettivi da perseguire, più che sulle strategie e tecniche operative. L’attività dell’assistente sociale non può che essere sperimentale, deve avvenire a seguito di un’analisi approfondita della situazione, casa per casa, famiglia per famiglia, per conoscere non solo i problemi, ma la percezione, la consapevolezza, le aspettative che la comunità, nella quale l’assistente sociale dovrà operare, ha di sé stessa. Spetta alla comunità stabilire le priorità dei bisogni, dare importanza ad un problema piuttosto che a un altro.

Angela Zucconi

A proposito del carattere della Zucconi Giuseppe De Rita ricorda la reazione violenta di Angela, quando, da allievo promettente del Cepas, le comunicò che abbandonava la scuola di servizio sociale avendo avuto una prestigiosa offerta di lavoro dallo Svimez e che voleva dedicarsi alla ricerca, scelta di cui non si è mai pentito. La Zucconi, dice De Rita, era una persona che aveva lo scatto d’ira facile e lo aggredì con violenza. “Aveva una carattere forte, dominava tutti gli altri con il suo ascendente intellettuale. Incuteva soggezione, era un maestro difficile e scontroso che faceva soffrire e lasciava cicatrici”. Laura Sasso dice: “Lavorare con lei era un impegno a tutto campo, che non ammetteva distrazioni: tutto doveva essere fatto bene nei modi giusti, nei tempi giusti. Aveva dentro di sé il bisogno, la spinta a fare cose migliori, nel modo migliore, con le persone migliori. Non sopportava la stupidità”.

Concludendo, mi piace riportare le parole di Giuseppe Certomà nella dedica dell’antologia degli scritti di Angela che ha curato: “fondatrice di un servizio sociale comunitario, concreto, giusto e solidale”.

Angela Zucconi è andata in pensione a cinquantasette anni, come era prassi in quegli anni, a differenza delle altre docenti che hanno continuato a lungo a insegnare anche dopo la pensione, ha lasciato il Cepas e si è trasferita definitivamente ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano dove aveva la sua casa. Ad Anguillara ha fondato la biblioteca e una rivista, “La voce del lago”, coinvolgendo attorno a sé un gruppo di cittadini sensibili ai problemi ambientali. Tale gruppo in seguito ha costituito la locale sezione di Italia Nostra. Ha promosso una mostra fotografica della storia del paese recuperando foto che erano state buttate in un cassonetto e raccogliendone altre dalla popolazione. A seguito del successo di quell’iniziativa e del materiale raccolto, ha continuato la ricerca negli archivi del Comune e in quelli della parrocchia, e ha scritto la storia di Anguillara in un volume intitolato Autobiografia di un paese. Un piccolo comune del Lazio dall’Unità al fascismo. Il volume ha aiutato la popolazione a riscoprire le proprie radici e la propria identità. È un’ulteriore testimonianza dell’interesse di Angela al particolare e alla sua capacità di inserirlo in una dimensione più generale.

L’ultima volta che l’ho incontrata nel 1996, al convegno che celebrava il Cepas a cinquant’anni dalla fondazione, le ho chiesto di poterla incontrare per parlarle della Società della storia del servizio sociale di cui cominciavo ad occuparmi. Mi ha risposto cortesemente, ma con fermezza, che quell’esperienza era finita, aveva tirato giù una saracinesca. È stata coerente con la sua amara affermazione:

“Il progresso sociale non c’è: solo il progresso tecnologico irreversibile e inarrestabile divora giorno per giorno i beni della terra per il maggior benessere dei pochi che stanno bene e invano questa terra maltrattata ogni tanto trema per ricordarci che non è roba nostra”.

Molte delle speranze, utopie, di Angela Zucconi, di Adriano Olivetti, di tante persone di buona volontà che si sono generosamente prodigate nei primi anni del secondo dopoguerra non hanno dato i frutti che loro speravano, ma la loro testimonianza rimane nei loro scritti e nella memoria di chi ha avuto la fortuna di incontrarli.

Finisco dicendo che sta a ciascuno di noi la responsabilità di raccogliere e diffondere il loro messaggio per contribuire a una società più giusta nella quale tutti potremmo vivere megl

Maria Lorenzoni Stefani

Maria Lorenzoni Stefani (marialor1941@gmail.com) è stata assistente sociale. Si è occupata di assistenza tecnica alle scuole di servizio sociale, della trasformazione degli istituti per minori, del superamento dei manicomi e di sperimentazione dei servizi territoriali di base. Da pensionata ha lavorato alla raccolta e alla sistemazione degli archivi degli Enti assistenziali per evitarne la distruzione. Attualmente è vice presidente della Società per la Storia del servizio sociale (SOSTOSS).

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