Al momento stai visualizzando Un attacco alla povertà

Provo a rispondere alla domanda: “perché una scuola per operatori dell’accoglienza, quando l’accoglienza sta finendo?”

La risposta potrebbe essere quella di trovare il denominatore comune tra la situazione dell’anno scorso e quelle che ci ritroveremo a ottobre 2019. Un punto secondo me è la povertà. 

Questo sistema di distribuzione nazionale di migranti arrivati via mare in Italia può essere visto come un sistema di distribuzione nazionale di poveri, il reddito infatti è uno dei requisiti per stare in accoglienza, tanto che la normativa prevede la cessazione dell’accoglienza ai beneficiari il cui reddito supera la soglia di povertà.

Questo ha obbligato quasi la metà dei comuni italiani ad aprire un centro di accoglienza (Cas, Cara, Sprar), ha forzato i territori, gli operatori che hanno iniziato a lavorarci, le cooperative, le associazioni, le scuole, i supermercati, gli ospedali, le amministrazioni comunali, ecc., quantomeno a dover prendere in considerazione la questione.

Il tutto è stato condito da una propaganda mediatica potentissima che nel migliore dei casi risultava stucchevole (poverini, non fanno niente tutto il giorno vanno impiegati in lavori volontari così stanno meglio) e in altri casi disumana (ruspe, lasciamoli a casa loro, possono anche affogare in mare e via di questo tono).

Incidentalmente questi poveri hanno anche una situazione giuridica non idonea e complessa che obbliga ogni migrante entrato via mare a fare richiesta di asilo politico in Italia, con tutte le forzature e le difficoltà che ne derivano: commissioni di valutazione della richiesta di asilo intasate da migliaia di domande, tempistiche infinite, normativa che è stata stravolta almeno tre volte in meno di cinque anni, valutazioni arbitrarie, eccetera. Oltre ovviamente a un background migratorio che li rende facilmente riconoscibili.

La situazione attuale è quindi quella di un attacco su larga scala alla povertà e a chi fa qualcosa per arginarla o organizzare i poveri, che sono un giorno le ong in combutta con gli scafisti, un altro le cooperative che rubano e si arricchiscono. A questo si aggiunge l’individualismo imperante e l’odio violentissimo sui social che viene fatto passare come legittimazione delle politiche repressive in materia di immigrazione. Qui l’ingrediente segreto è stato probabilmente l’etnocentrismo e la mentalità coloniale di cui siamo tutti abbondantemente impregnati. (Forse l’unico effetto positivo è che i migranti in quanto soggetto stigmatizzato sono rimasti solo i richiedenti asilo, gli altri 5 milioni di persone che vivono in Italia che hanno un background migratorio non sono più considerati stranieri)

Quali strumenti deve avere quindi un “operatore dell’accoglienza” in questa situazione?

– Coltivare la rete sul territorio che ha sviluppato in questi anni, valorizzarla, canalizzare il dissenso e soprattutto far valere e riscuotere il peso politico che gli è stato attribuito in questi anni.

– Decolonizzare se stesso, il suo linguaggio, il suo approccio, la sua propaganda: i migranti non sono poverini da aiutare, non sono “bravissimi”, non meritano più considerazioni perché scappano dalla guerra, sono persone e come tali devono rivendicare i propri diritti ove negati e organizzarsi per ottenerli come ognuno di noi.

– Trovare altri con cui condividere ed elaborare queste idee, organizzarsi, costruire gli strumenti per agire insieme e soprattutto costruirsi un contesto in cui stare bene con gli altri.

Un’ultima attenzione: ci sono movimenti e leader panafricani in Europa che adottano la stessa retorica populista che viene cavalcata dai fascisti nostrani: tempo fa girava in rete un video della Meloni, tradotto in francese, che condannava il colonialismo in Nigeria. Le stesse tematiche sono cavalcate da Marine le Pen in Francia. Chi dà una lettura di classe al fenomeno del razzismo e della guerra ai migranti è obbligato a instaurare un rapporto dialettico con queste organizzazioni della diaspora.

 

Matteo Castellani

Sono nato a Milano nel 1986, ma ho sempre vissuto a Monza. Oltre allo studio mi ha formato la militanza nel centro sociale della città – FOA Boccaccio 003 – che mi ha portato ricche esperienze di autogestione, di organizzazione e di lotte con gli sfruttati e contro il sistema che ci opprime. Negli ultimi anni nell'ambito del Movimento No Borders ho provato a mettere anche il mio sassolino nel devastante ingranaggio della Fortezza Europa. Da 5 anni lavoro in Brianza nel sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati. (mtt.castellani@gmail.com)

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