Al momento stai visualizzando L’asina non partorisce in pubblico

Qualche mese fa, a Mantova, l’amica antropologa Giorgia Decarli, che ha partecipato a “Onere della conoscenza“, la sessione mantovana di “Strade del mondo“, diceva che finalmente, per la prima volta, ha trovato un luogo dove antropologi, operatori, avvocati e migranti ragionano insieme. Questa mi pare sia la bellezza e la complessità di ciò che insieme stiamo facendo, questa è la piccola realtà che stiamo costruendo e, in forme diverse, già realizzando: una comunità multiforme di individui diversi per competenza, lingua e ruolo che condivide la voglia di capire se stessi, l’altro e il mondo in cui viviamo e di determinare piccole e grandi trasformazioni. Incrociamo gli sguardi, quindi, e andiamo avanti in uno dei periodi più difficili, per l’Italia e per l’Europa, da alcuni anni a questa parte.

Quella che Nazzarena Zorzella definisce la “restaurazione introdotta da Salvini” sta determinando ferite profonde nei diritti e nelle vite di richiedenti asilo, operatori e comunità; il decreto Minniti, che l’aveva preceduta, le aveva aperto la strada contribuendo tra l’altro a “normalizzare” gli accordi con le milizie libiche in spregio della vita dei migranti. Di fronte a questo non possiamo non inventarci una lingua comune che nasca dal desiderio e dal bisogno condiviso di decolonizzare gli sguardi e di costruire insieme nuove visioni e pratiche politiche e nuove utopie concrete.

Ma senza il protagonismo intellettuale e politico dei soggetti migranti non possiamo farcela.

Nel 2018 siamo partiti dall’analisi di storie per farne casi di studio: è stato affascinante e utile ma nel corso della costruzione delle due sessioni della scuola di formazione mi sono resa conto della profondità di una frase di Yahya Mane, del gruppo di progetto di Mantova, a proposito del racconto delle singole vite: “In Casamance diciamo che l’asina non partorisce in pubblico”, un’altra faccia di quello che la sociologa Monica Massari chiama “il diritto all’opacità”. Ma un richiedente asilo per restare in Italia e avere protezione deve raccontare gli aspetti più nascosti e traumatici della sua vita o, facendosi ulteriore violenza, inventarsi una storia che si sostituisca al suo passato reale: deve dimostrare di essere vittima e avere un “fondato timore”. Vorrei che riflettessimo sulla violenza della narrazione forzata di storie e di questa visione distorta del diritto d’asilo. Anche per questo sarebbe utile che nelle prossime sessioni di “Strade del mondo” ci dessimo il tempo di conoscere la storia del diritto d’asilo e delle vie d’accesso possibili per chi vuole/ha voluto venire in Europa da paesi che sono ricchi di materie prime e contemporaneamente tra i più poveri del mondo. Dovremmo ragionare su come sono cambiati gli accordi, le normative e, anche in relazione a questo – oltre che in rapporto a guerre, vicende politiche interne e carestie – su come sono cambiati i flussi. Ciò che esiste adesso non è ineluttabile e non esiste da sempre, quindi possiamo tentare di cambiarlo insieme.

L’Europa dovrebbe essere anche l’orizzonte per conoscere storie di passaggi di confini, di solidarietà e mutualismo, di azione politica e sociale. Più che mai le reti si devono estendere oltre il nostro paese. Dalle storie degli individui potremmo passare alle storie di comunità che condividono, inventano, costruiscono, lottano.

Fino a quando non riusciremo a far passare, a livello politico e di opinione pubblica, il principio della libera circolazione delle persone, sancito nel 1948 dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani, fino a quando resterà in vigore l’attuale visione del diritto d’asilo, io penso che dovremo batterci perché l’accoglienza sia effettiva, improntata a dare informazioni, tutele legali e strumenti reali di autonomia (lingua, formazione, accesso al lavoro, consapevolezza politica dei luoghi, dei sistemi e delle comunità, possibilità di dialogo): risorse e strumenti che l’attuale governo sta brutalmente cancellando, insieme a migliaia di posti di lavoro.

Maria Bacchi

Maria Bacchi (ariaduemila@gmail.com) fa ricerca e scrive sulla storia dell’infanzia e dell’adolescenza nelle guerre del Novecento. Fa parte del comitato scientifico della Fondazione Villa Emma, del gruppo di progettazione di "Le strade del mondo" e di quello di “Onere della conoscenza”. Si occupa – come attivista dello “Sportello diritti” dello spazio sociale La Boje e di Mantova Solidale – di questioni legate alle migrazioni, alle storie e ai diritti dei richiedenti asilo.

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