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illustrazione di Nikolaus Heidelbach

Il modello “C3” di cui sempre più spesso si sente parlare è la scheda utilizzata dalle questure per formalizzare la domanda di richiesta d’asilo. Uno dei tanti strumenti burocratici che la pubblica amministrazione utilizza per avviare gli immigrati all’iter della domanda di protezione internazionaleTuttavia, sia per le persone che richiedono la protezione sia per i lavoratori dei centri d’accoglienza, tale modello acquisisce un’importanza che va ben al di là di un semplice formulario.

Molto semplicemente in tale modello vengono richiesti i dati anagrafici della persona e il motivo per cui ha lasciato il paese. Ma il C3 assume anche una forte valenza simbolica: nella scheda viene chiesto di spiegare il motivo della partenza, facendo emergere gli aspetti più vulnerabili della propria storia e del viaggio per arrivare in Europa. La propria fragilità psicologica e sociale deve essere portata in superficie allo scopo di ottenere uno status di protezione. Da un punto di vista legale il C3 costituisce il primo passo per essere riconosciuti dal sistema sociale di diritti e doveri al quale la persona mira ad appartenere. Da un punto di vista culturale e socio-politico comporta viaggiare attraverso la storia, la geografia e le principali problematiche sociali di un paese. Realizzare un buon C3 vuol dire inoltre esplorare una cultura, navigare tra nuovi sistemi simbolici in cui le premesse implicite dell’operatore che affianca il richiedente vengono costantemente messe in discussione. Compilare una semplice scheda diventa l’incontro tra due mondi. Le categorie dell’“occidente” sono costrette a confrontarsi con la rappresentazione della realtà di “altri mondi”. Il risultato di questo incontro risulta spesso complesso e contraddittorio per entrambi le parti.

È fondamentale realizzare degli incontri preparatori con le persone che intendono chiedere la protezione internazionale prima di recarsi in questura. Lo scopo è creare un contesto di fiducia che permetta alla persona di esprimersi liberamente e che offra informazioni accurate sulla procedura di richiesta asilo.

La questura è il luogo in cui si formalizza la domanda di protezione internazionale. Purtroppo il funzionamento di tale istituzione presenta spesso difficoltà evidenti: mancanza di funzionari adeguatamente formati per eseguire tali colloqui; variabilità dei tempi di attesa per la presentazione della domanda; scarsa sensibilità alle differenze culturali: tutte barriere che rendono complessa la formalizzazione della domanda. Per questo l’operatore deve cercare di preparare in anticipo il richiedente adattandosi per quanto possibile alle modalità di ogni questura. Tale preparazione è indispensabile sia per garantire la correttezza formale del procedimento, sia per preservare la tranquillità e il benessere emotivo della persona, sia infine per offrirle informazioni che le saranno utili durante tutto il percorso d’accoglienza.

Le note che seguono si offrono come una piccola mappa che orienti gli operatori dell’accoglienza nel viaggio burocratico della preparazione del C3. Prendono spunto dal laboratorio sulla protezione internazionale e umanitaria organizzato nella prima edizione della scuola di formazione per operatori dell’accoglienza “Le strade del mondo”, condotto dall’avvocato Nazzarena Zorzella, membro fondatore dell’Asgi, e seguito da altri operatori legali e sociali del corso. Grazie al confronto tra i partecipanti, nel laboratorio si è discussa una metodologia d’azione interdisciplinare che tocca aspetti legali, sociopolitici, culturali e psicologici della preparazione al C3.

Ecco quattro consigli, quattro punti cardinali, per orientarsi in questo viaggio burocratico.

Uno Da un punto di vista legale, l’elemento fondamentale per intraprendere il viaggio verso il C3 è la conoscenza, da parte dell’operatore, della legislazione riguardante la protezione internazionale e la protezione umanitaria. Tali conoscenze costituiscono “la mappa” attraverso cui far emergere gli elementi principali – rilevanti ai fini della protezione internazionale – che hanno spinto il richiedente a lasciare il proprio paese. È inoltre fondamentale segnalare al richiedente l’importanza di fornire documenti che attestino sia la sua storia sia la sua identità anagrafica, sempre che l’ottenimento di tali informazioni non metta a rischio l’incolumità della persona.

Due Da un punto di vista socio-politico, “il marinaio” del C3 deve avere un certo bagaglio di conoscenze storiche, geografiche e politiche dei principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Da tale bagaglio dipende la credibilità esterna della storia, frutto di una buona integrazione tra i fatti raccontati dal richiedente e le informazioni sul paese di origine (o come si dice in gergo, COI – Country of origin information). Di conseguenza, senza pretendere di essere un esperto, l’operatore che orienta il richiedente nella domanda di protezione dovrebbe però possedere informazioni aggiornate riguardanti i paesi d’origine e saper cercare tra le diverse fonti le informazioni in grado di corroborare la narrazione del richiedente.

Per accompagnare la persona in questo viaggio è inoltre necessario adottare una prospettiva interculturaleTale prospettiva costituisce il cannocchiale che il marinaio del C3 deve inforcare per navigare in un mare in cui le visioni del mondo (del richiedente, dell’operatore, del funzionario della questura, della commissione giudicante) possono essere molto diverse. Un buon intervistatore è consapevole che domande semplici come chiedere il “nome e cognome”, “l’età anagrafica” o il motivo della partenza possono ribaltare i “nostri” impliciti culturali. Stupisce, ad esempio, scoprire che un gran numero di richiedenti siano nati il primo gennaio. Questa curiosa coincidenza nasce dallo scontro tra le nostre categorie culturali e l’identità sociale del migrante al momento dell’approdo in Italia. Spesso il richiedente non è in grado di riferire la sua corretta data di nascita e il funzionario che registra i suoi dati “battezza” in modo arbitrario una data. In tante aree dell’Africa occidentale la data di nascita non è rilevante da un punto di vista culturale – molti non festeggiano il compleanno! – e non sempre il registro anagrafico è presente nei paesi e nelle città da cui provengono le persone.

Altro esempio di variabilità culturale riguarda l’origine del nome e del cognome. Il marinaio del C3 scoprirà che essa varia a seconda della cultura di provenienza. Ad esempio, se si ha l’opportunità di intervistare una persona proveniente dell’Eritrea, si scoprirà che il cognome è composto dalla somma dei nomi del padre e del nonno.

Per andare al di là delle differenze culturali dobbiamo realizzare questo viaggio insieme ad un mediatore capace di fungere da ponte tra i diversi sistemi culturali. I benefici della mediazione permettono di rendere consapevole l’ascoltatore del proprio background culturale e, dunque, di relativizzare le categorie sociali del sistema a cui appartiene. In questo senso, adottare tale prospettiva permette di aprirsi a ciò che è “sconosciuto” e di esplorare con più facilità la diversità culturale delle persone con cui si entra in contatto. Allo stesso modo, la mediazione è utile per spiegare al richiedente l’importanza che le categorie anagrafiche rivestono nel “nostro” sistema, in cui tali dati devono corrispondere esattamente a quelli dichiarati nel paese d’origine, ciò al fine di evitare future incongruenze nei documenti fondamentali.

Tre Da un punto di vista psicologico-relazionale è fondamentale cercare di stabilire un rapporto di fiducia con la persona. Tale rapporto è “la barca” necessaria sulla quale l’operatore e il richiedente devono viaggiare. Ma non è affatto scontato. Per diversi motivi.

Innanzitutto nel momento della formalizzazione del C3 è difficile che si sia già stabilita una complicità tra il richiedente e l’operatore. Chi lavora all’interno dell’accoglienza deve rendersi conto che agli occhi dei migranti non è una figura neutra. Essi ripongono sull’operatore aspettative e pregiudizi di cui non sempre è consapevole. Per tanti richiedenti asilo noi operatori incarniamo “l’istituzione”. Persone sconosciute di cui non è detto si possano fidare.

A questo si aggiunge il fatto che in alcune occasioni le persone mettono in evidenza soltanto alcuni elementi della loro storia, dando per scontato aspetti del contesto socio-culturale da cui provengono che sarebbero fondamentali per la domanda di protezione internazionale.

Quattro Concludo con il problema riguardante le storie preconfezionate, costruite prima o durante il viaggio, grazie ai consigli di amici o conoscenti che spesso non hanno informazioni accurate sul sistema d’asilo italiano. Tali storie costituiscono un problema poiché impediscono di conoscere i veri motivi che hanno spinto la persona a lasciare il paese, motivi che in alcuni casi sono più rilevanti per l’ottenimento della protezione.

Ecco allora alcune possibili strategie per superare queste difficoltà stabilendo un rapporto di fiducia. L’ascolto attivo è l’aspetto fondamentale dei colloqui preparatori. Ricordiamo che il colloquio per la preparazione del C3 può essere preso dalle persone come un momento di sfogo psico-emotivo, in cui emergono vissuti riguardanti il motivo della partenza e il viaggio verso l’Europa. È dunque necessario permettere alla persona di esprimersi liberamente in un spazio privato e tranquillo. Altre volte accade che le persone non siano disposte a condividere i dettagli della loro storia: teniamo presente che chi fa richiesta d’asilo deve fornire all’istituzione in modo molto dettagliato elementi a volte intimi della propria vita, cosa tutt’altro che semplice e scontata per una persona appena arrivata in Italia. Un limite che gli operatori dell’accoglienza devono imparare ad accettare.

Per creare una relazione di fiducia è inoltre importante spiegare come funziona la procedura legale per la richiesta asilo e il percorso nei centri d’accoglienza. Ciò permette alla persona di capire perché le viene chiesto di raccontare la sua storia personale. Fornire tali informazioni promuove la tranquillità della persona, alimentando la percezione di controllo nel nuovo contesto d’arrivo e creando aspettative realistiche sul percorso legislativo da intraprendere. Inoltre, spiegare come funziona la procedura legale aumenta la fiducia nell’operatore e nel centro in cui la persona viene accolta. Tali informazioni possono aiutare a superare il problema delle storie preconfezionate. Quando i richiedenti hanno un rapporto di fiducia con l’operatore e conoscono meglio le informazioni sulla procedura è più facile che emergano i tratti reali delle storie di vita. Non è raro che tali tratti siano più rilevanti, rispetto a quelli costruiti a tavolino, per il buon esito della domanda di asilo.

Al tempo stesso, per quanto riguarda i motivi del viaggio, non occorre forzare la persona a raccontare la sua “vera” storia, quanto piuttosto chiarire che il ruolo dell’operatore è far emergere dalle storie delle persone gli aspetti che possano risultare più rilevanti per l’iter della protezione internazionale. È necessario dunque orientare la persona attraverso domande aperte che aiutino a ricostruire il suo vissuto e a formulare il motivo della sua partenza. In alcune occasioni i richiedenti mettono in evidenza solo alcuni aspetti della loro storia spesso dando per scontato elementi fondamentali del loro contesto socio-culturale.

Un esempio tra i tanti che potrei fare. Una donna somala nata e cresciuta a Mogadiscio, in sede di preparazione del C3 affermava che il motivo principale per cui aveva lasciato il suo paese era la mancanza di opportunità lavorative, motivazione che non le avrebbe mai consentito di accedere a qualche forma di protezione. Approfondendo la sua storia e indagando i motivi di tali difficoltà però, è emerso che la ragazza e la sua famiglia appartenevano a una minoranza etnica a cui veniva costantemente rifiutata l’opportunità di accedere al lavoro. Inoltre il piccolo negozio con cui la famiglia riusciva a sopravvivere era stato ripetutamente distrutto dagli attacchi dei ribelli di Al-Shabaab, il gruppo terroristico nato in Somalia nei primi anni Duemila.

Sebbene durante il colloquio di preparazione possano emergere molte informazioni sulla storia personale e sui motivi della partenza del richiedente, nella compilazione del C3 tale motivazione deve essere scritta in modo sintetico. La sintesi è utile perché permette alle persone di ricordare accuratamente i dettagli particolari della propria storia durante tutto il percorso d’accoglienza.

Preparare una domanda di richiesta di protezione internazionale va ben al di là della compilazione di una semplice scheda. Significa fare un viaggio in mare aperto, non accontentarsi di bordeggiare lungo coste già battute, un viaggio in cui ogni attore, non solo “il profugo”, porta con sé vissuti, visioni del mondo, nodi conflittuali molto diversi. È fondamentale costruire una bussola che orienti l’operatore e il richiedente a percorrere questo viaggio nel modo più dignitoso, meno invasivo e al tempo stesso più efficace possibile, rendendo umana e autentica una fredda scheda burocratica.

Alba Ospina

Alba Ospina (albaospina89@gmail.com) è nata nel 1989 a Bogotá, in Colombia. Ha lavorato con sfollati interni, soprattutto bambini e minori, della guerra civile colombiana. Ha svolto servizio civile presso la Prefettura di Padova e nella Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale facendo ricerche sui paesi d’origine dei richiedenti asilo. Attualmente si occupa dell’orientamento legale e psicosociale dell’area migranti della cooperativa Alce nero di Mantova.<br/>Ha partecipato come corsista alla prima edizione della scuola per operatori dell’accoglienza “Le strade del mondo”. Queste riflessioni nascono in quel contesto.

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