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L’itinerario di ricerca cominciato tre anni fa, orientato su un progetto di formazione per operatori dell’accoglienza, ci spinge a vedere il futuro dell’accoglienza nel lavoro di comunità: si tratta di trovare presto il modo e l’energia per portare “fuori” – nei servizi pubblici, nelle scuole, nei territori, tra la gente – temi, conflitti e saperi che fino ad ora sono rimasti “chiusi” tra le mura dei centri d’accoglienza. Ciò vale per immigrati, esuli, richiedenti asilo e quanti si occupano di loro come per tutte le forme di marginalità e fragilità sociali: l’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia ha reso evidente come il lavoro di comunità sia il grande assente, non solo del lavoro sociale, ma anche di quello sanitario.

L’esperienza del lavoro di comunità, che ha segnato la nascita del servizio sociale italiano nel secondo dopoguerra, mostrò la necessità di affiancare agli interventi sociali veri e propri una ricerca (o “studio d’ambiente”, come si definiva allora) finalizzata alla raccolta di storie, dati, informazioni, testimonianze che precedesse, guidasse e accompagnasse la fase operativa: una ricerca non pura ma orientata a un intervento di miglioramento (sociale, sanitario, educativo, culturale) capace di coinvolgere direttamente le persone e le comunità che andava studiando, trasformandole da oggetti di studio in soggetti attivi di conoscenza e cambiamento. Per questo, l’iter formativo degli operatori sociali – almeno nei contesti più illuminati come il Movimento di collaborazione civica, il Centro di educazione professionale per assistenti sociali o il Movimento di comunità – prevedeva metodi e tecniche presi in prestito da discipline affini, soprattutto dall’antropologia, dalla sociologia, dalla psicologia, dalla storia. Adriano Olivetti, Angela Zucconi, Saul Alinsky, Maria Calogero, Augusto Frassineti, Odile Vallin, Danilo Dolci, Aldo Capitini figurano tra i pionieri di quella stagione.

Pensiamo che anche in uno scenario completamente mutato come l’attuale, dove le priorità non sono la ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra o il governo dei processi di inurbamento e di migrazione interna, ma le grandi migrazioni internazionali che s’intrecciano a processi di crisi economica, sociale e sanitaria, la riflessione su quegli strumenti potrebbe tornare di estrema utilità.

Per questa ragione – oltre che per la necessità di iniziare a raccogliere, salvare e ad archiviare le storie di chi arriva nel nostro paese dai quattro angoli della terra, con l’idea di fermarsi o di ripartire – Le strade del mondo 2020 intende confrontarsi con alcuni degli strumenti di ricerca, di analisi e di intervento elaborati in quella fase storica, ipotizzando di trovarci in una stagione altrettanto pionieristica: la storia orale, l’osservazione partecipante, la con-ricerca e la ricerca-azione, le tecniche di intervista, la raccolta di storie di vita, ecc. Strumenti e saperi che intendiamo rimodulare in funzione delle necessità del presente e dei contesti in cui operano gli iscritti alla nostra Scuola: operatori dell’accoglienza, educatori, assistenti sociali, docenti, operatori legali, insegnanti di italiano L2, attivisti, psicologi, amministratori e funzionari pubblici.

Qui il pdf e di seguito il jpg del programma dettagliato.
Per informazioni e iscrizioni: formazione@fondazionevillaemma.org

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